segunda-feira, 31 de março de 2014

Paróquia Hospital na África. Acolhendo refugiados aterrorizados.

30/03/2014

Centrafrica, quando la chiesa è un “ospedale da campo”

 
 
Bambini in una parrocchia africana
BAMBINI IN UNA PARROCCHIA AFRICANA

Padre Justin mette in pratica l’esortazione del Papa, ospitando più di mille musulmani nella sua parrocchia. Ha anche rischiato la vita per difenderli

DAVIDE DEMICHELISROMA
“Hamidou ha fatto più di duecento chilometri per arrivare fino qui, a Carnot. Quando si è presentato in parrocchia era sfinito, denutrito, disidratato, ma soprattutto terrorizzato. Hamidou ha 13 anni. Per giorni e giorni ha camminato, solo, nella foresta, e correva ogni volta che sentiva sparare”. Padre Justin respira lungo, prima di riprendere il racconto. Hamidou oggi è ospite della sua parrocchia, insieme a un migliaio di musulmani. La chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda di padre Justin Nary è l’unica di Carnot, una piccola città a poco più di cento chilometri dalla frontiera con il Camerun. 35mila centrafricani sono fuggiti oltreconfine, in Camerun, e 82mila in Ciad. Sono accampati nei campi profughi.

Carnot è là: sulla via che porta in Camerun. Dieci anni fa aveva 45mila abitanti, oggi chissà. Dopo la destituzione del presidente Djotodia, a inizio gennaio, gli islamici in Centrafrica sono nell’occhio del ciclone. Il governo Djotodia era appoggiato dalle milizie Seleka, in cui militavano molti fondamentalisti. Oggi tutti i musulmani stanno pagando per le violenze di cui si sono resi colpevoli gli uomini della Seleka, in gran parte stranieri, soprattutto ciadiani e sudanesi. A seminare il terrore in Centrafrica ora vi sono gli Antibalaka, gli “anti machete”, che per vendicarsi delle malefatte della Seleka colpiscono tutti i seguaci del Corano. Ecco perché molti di loro hanno cercato rifugio nei luoghi più sicuri e accoglienti: le parrocchie, i seminari, i conventi. Solo nella capitale, Bangui, circa 120mila persone sono accampate in una quarantina di edifici religiosi. Anche fuori dalla capitale varie parrocchie ospitano migliaia di islamici: a Bossangoa, Boda, Baoro, Bossemptele e, ovviamente, Carnot.

Hamidou è uno dei tanti musulmani costretti alla fuga. Un mese fa era a casa, con la sua famiglia, quando ha sentito sparare. Suo padre ha urlato a lui e ai suoi fratelli di fuggire. Ha dato loro qualche soldo e via, a gambe levate, in direzioni diverse. Hamidou ha corso a perdifiato, finché ha potuto. Poi si è guardato indietro: era solo, nel cuore della foresta. Allora ha capito che non aveva scelta: doveva proseguire il cammino, la fuga. Per giorni e giorni, non sa neanche lui quanti, ha mangiato radici e bevuto l’acqua che trovava in foresta. Poi è arrivato a Carnot, un mese fa. Ha saputo che qui poteva trovare accoglienza, ed è subito andato in parrocchia. Finalmente qualcuno si è preso cura di lui: l’abbé Justin.

“E’ dalla fine di gennaio che accolgo sfollati nella mia parrocchia. Sono in gran parte di etnia Peul e Aussa, quasi tutti musulmani. Ovviamente la nostra porta è aperta a tutti: non facciamo distinzioni di razza o religione”. Padre Justin non ci ha pensato due volte: quella gente aveva bisogno. Poco importa se in città ha creato qualche malumore, anche tra i cristiani. Qualcuno teme che fra quanti protegge, fino a 1400 persone, si siano infiltrati i miliziani in fuga. Padre Justin non sente ragioni: “Ho svuotato le casse della chiesa, per dare da mangiare a questa gente. Poi ho chiesto aiuto alle organizzazioni umanitarie, finalmente ci è arrivato qualcosa. Molti cristiani portano del cibo: patate, manioca, riso. Noi dobbiamo accogliere, aiutare! E poi, anche far sapere al mondo della guerra che sta sconvolgendo il Centrafrica, sensibilizzare l’opinione pubblica. Tutto qui”.

Non solo. Padre Justin ha rischiato ben più che i soldi o la reputazione, per difendere gli sfollati: “A inizio febbraio sono arrivati gli Antibalaka. Io e il pastore protestante siamo andati in foresta per parlare con loro, tranquillizzarli. Dopo qualche giorno però, sono entrati comunque in città. Volevano portar via tutti i musulmani, gli sfollati che vivono da noi, ucciderli. Mi sono opposto, abbiamo parlato a lungo, abbiamo mangiato insieme, ho dato loro anche dei soldi”. In Centrafrica si usa così, ma non è bastato. Un gruppo di uomini armati si è presentato in chiesa con 40 litri di benzina, minacciando di appiccare il fuoco se il prete non avesse consegnato i musulmani o un milione di franchi cfa.

L’abbé Justin allora ha promesso di consegnare il malloppo, appuntamento davanti alla chiesa alle 18: “Non sapevo come fare, quei soldi non li avevo. Ho chiamato dappertutto, finché sono riuscito a trovare un comandante della missione militare, Misca. Un convoglio armato doveva passare da qui, proprio quel giorno. E’ stato un miracolo! Alle 17,43 si sono posizionati intorno al luogo dell’appuntamento. C’è stato uno scontro a fuoco, molto violento. Da allora i militari presidiano la nostra città, non se ne sono più andati, e gli Antibalaka non ci hanno più attaccati”.
Padre Justin, al mattino, si alza alle 4,30. Prega, poi passa qualche ora con i suoi ospiti: “Mi raccontano le loro storie, ci comunichiamo esperienze, emozioni, non solo informazioni. Abbiamo scambi molto intensi”. Forse anche per questo, nonostante tutto, il morale del parroco è sempre molto alto. La chiesa, la casa parrocchiale, gli uffici e la sua stanza sono affollati di gente, il cortile è invaso dalle tende. Ma quel che più conta, lo spirito dell’abbé Justin, è libero e felice: “Questa è la chiesa, la nostra missione”.

 

quinta-feira, 27 de março de 2014

Perseguição aos cristãos da Síria. Sempre o islam. Por que essas notícias não são mais divulgadas?

26/03/2014 

Siria, ancora persecuzioni contro i cristiani

 
 
Siria. Continua la persecuzione dei cristiani
(©ANSA) SIRIA. CONTINUA LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI

Nel nord del Paese centinaia di famiglie armene hanno dovuto abbandonare i loro villaggi per un’invasione di fondamentalisti islamici

MARCO TOSATTIROMA


Siria e Cristiani: continua la persecuzione. Nella tragedia siriana la tragedia dei cristiani sembra non avere fine. Nel nord del Paese, sul mare, al confine con la Turchia centinaia di famiglie armene hanno dovuto abbandonare i loro villaggi, nel Kessab, per un’invasione di fondamentalisti islamici provenienti dalla Turchia, in cui hanno le loro basi. E anche in quella zona si sono ripetute in queste ore le scene già viste di chiese dissacrate, case saccheggiate, civili morti e rapiti. E per molti cristiani siriani in assoluto la fuga sembra l’unica soluzione. In particolare per quanti non amavano particolarmente il regime del presidente Assad, ma si sono dovuti confrontare, una volta “liberati” con forme di oppressione crescente da parte dei miliziani integralisti di oltre 80 Paesi diversi che costituiscono il nerbo della resistenza armata, aiutata e finanziata da Turchia, Qatar e Arabia Saudita, oltre che dagli Stati Uniti.

Ma anche i cristiani che avendo sofferto sotto il regime hanno formato una brigata nel Free Syrian Army (FSA) si trovano in difficoltà. Perché la loro sola presenza costituisce un problema e un intoppo alla creazione di uno Stato islamico. E a quanto pare questa situazione di persecuzione si prolunga anche dopo la fuga. Secondo rapporti di organismi di assistenza locali, nel campo profughi allestito dal governo turco con un settore riservato ai cristiani non c’è nessuno. I cristiani preferiscono non entrare nel campo, per paura di rappresaglie da parte dei musulmani. Cercano invece rifugio nei sobborghi poveri delle città turche, timorosi sia di entrare nei campi per i rifugiati che rientrare in Siria, nelle zone in mano al FSA e alle fazioni islamiche più o meno affiliate ad al-Qaeda.

Un caso esemplare è quello accaduto ad Aleppo. Una donna cristiana, attivista contro il governo di Bashar al-Assad, è stata arrestata da militanti islamici perché stava partecipando a un evento pubblico senza velo. Marcell Shehwaro, questo è il nome della donna, era a piazza Jisr al-Haj, e partecipava a una cerimonia in cui si piantavano alberi, e si installava una bandiera, in ricordo dei caduti della guerra. Jisr al-Haj è nella zona di Aleppo occupata dai miliziani islamici. Un comandante del gruppo chiamato Jaish al-Mujahedeen (Esercito dei Mujahedeen) le ha chiesto di coprirsi i capelli, perché quella parte della città era sotto il loro controllo. Marcell Shehwaro gli ha risposto seccamente: “Che cosa può farmi l’autorità della Shari’a se non porto il velo? Non porterò un velo. Che l’autorità della Shari’a mi arresti! Smettiamola!”.

Marcell Shehwaro è nota per opporsi da tempo al regime di Assad. “Odio quando mi giudicano per ragioni religiose – avrebbe detto la donna -. E’ pieno di ragazze sunnite che non portano il velo. Che cosa possono far loro?”. Lì per lì i miliziani se ne andarono, ma tornarono dopo un po’ per arrestarla. Ma gli altri attivisti che erano con lei per la cerimonia si sono scontrati con loro per difenderla. A dispetto della resistenza, i miliziani sono riusciti ad arrestarla, e l’hanno portata in un luogo che l’agenzia ANA definisce come la prigione della “Shari’a Authority” ad Aleppo. Dopo un paio di ore però il Jaish al-Mujahedeen l’ha liberata, con un comunicato di scuse: “Deploriamo quello che è stato compiuto da parte di individui come un gesto individuale verso l’attivista Marcell Shehwaro”. Ma il commento della donna, secondo l’agenzia ANA è stato che non c’è posto per i cristiani nella rivoluzione. “Mi chiedo se si può evitare di essere uccisi. Chi non è ammazzato dalle bombe dell’esercito è ammazzato dall’ISIS (Stato islamico di Iraq e Siri, affiliato ad al-Qaeda); e chi non è ammazzato dall’ISIS lo è da qualcun altro”. Shehwaro ha pubblicato le foto della protesta non violenta sulla sua pagina di Facebook il 17 marzo.

domingo, 23 de março de 2014

Massecre de cristãos. Agora no Kenia. Mas muçulmano de novo.

3/03/2014 

Kenya, attacco a una chiesa: quattro morti

 
 
Un ferito all'ospedale di Monbasa
(©REUTERS) UN FERITO ALL'OSPEDALE DI MONBASA

Sale il bilancio dell’attacco avvenuto in mattinata da parte di un gruppo di uomini armati: 17 i feriti

REDAZIONEROMA



È salito a quattro morti e 17 feriti il bilancio dell'attacco di questa mattina a una chiesa di Mombasa da parte di un gruppo di uomini armati che ha aperto il fuoco sui fedeli.


In un primo momento la polizia aveva parlato di due morti e una decina di feriti. Fornendo un bilancio aggiornato, la Croce Rossa ha reso noto che altre due persone sono morte per le ferite riportate e che 17 sono ricoverate in ospedale.


Il Kenya è oggetto di attacchi di matrice islamica da quando, nell'ottobre 2011, è intervenuto militarmente nel sud della Somalia per combattere gli shabaab legati ad al Qaida.

sábado, 22 de março de 2014

Perseguição aos católicos no Sudão

/03/2014 

Taban: «In Sud Sudan la situazione è più grave che durante la guerra civile»

 
 
monsignor Roko Taban Mousa
(©ACS) MONSIGNOR ROKO TABAN MOUSA

Parla l’amministratore apostolico di Malakal: le nostre case e le nostre chiese sono state distrutte e saccheggiate

REDAZIONEROMA

«Abbiamo perso ogni cosa. Le nostre case e le nostre chiese sono state distrutte e saccheggiate». Costretto a rifugiarsi in un seminario cattolico di Giuba, monsignor Roko Taban Mousa, amministratore apostolico di Malakal in Sud Sudan, racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (la fondazione di diritto pontificio che sostiene l’azione pastorale della chiesa laddove essa è perseguitata, ndr) come intere aree del più giovane stato al mondo siano state abbandonate dalla popolazione, in seguito a violenti scontri tra  l’esercito del presidente Salva Kiir e la coalizione ribelle guidata da Riek Machar.

Nonostante il cessate il fuoco tra governo e ribelli del 25 gennaio scorso, efferate violenze hanno continuato a verificarsi. Nato per motivi politici, il conflitto sta assumendo sempre più una connotazione etnica poiché i leader delle due fazioni appartengono ai due principali gruppi tribali del paese: Kiir ai dinka e Machar ai nuer. Gli scontri hanno avuto inizio il 15 dicembre 2013 e stando ai dati delle Nazioni Unite avrebbero già causato migliaia di morti e costretto almeno 900mila persone ad abbandonare le proprie abitazioni. Monsignor Taban paragona le atrocità delle ultime settimane a quanto vissuto durante la seconda guerra civile sudanese, durata dal 1983 al 2005. «In 22 anni di conflitto – afferma – mai avevamo assistito ad una simile devastazione».

La diocesi di Malakal comprende territori di tre degli stati maggiormente affetti dalle violenze: Alto Nilo, Unità e Jongley. Nei giorni scorsi tutti i sacerdoti diocesani e le religiose sono stati costretti a fuggire e molti di loro hanno trovato ospitalità a Giuba. «I miei sacerdoti hanno dovuto lasciare tutti i loro averi e ora non hanno più neanche i messali e i paramenti liturgici». Aiuto alla Chiesa che Soffre ha appena approvato un contributo straordinario di 25mila euro per garantire un alloggio e fornire viveri e medicine ai sacerdoti e alle religiose rifugiatisi nella capitale sudsudanese.

Il pensiero di monsignor Taban va ai tanti fedeli rimasti a Malakal. Secondo fonti della Chiesa locale molti dei 250mila abitanti del capoluogo dell’Alto Nilo avrebbero cercato riparo in remoti villaggi - ora sopraffatti dall’enorme afflusso di rifugiati - all’interno della boscaglia, mentre altri hanno trovato accoglienza in un vicino campo profughi.

Il presule denuncia l’urgente necessità di aiuti umanitari. «La popolazione ha bisogno di riso, mais, fagioli, olio. Siamo sull’orlo della carestia ed è quanto accadrà se non saranno immediatamente inviate scorte di generi alimentari». Anche l’acqua potabile è ormai divenuta un bene rarissimo e a causa della terribile sete molti abitanti della diocesi di Malakal hanno iniziato a bere dalle acque del Nilo bianco, con un drammatico aumento dei casi di dissenteria. «Diarrea e malaria affliggono sempre più i sudsudanesi – spiega monsignor Taban - ma purtroppo nessuno ha accesso alle cure mediche perché tutti gli ospedali e le farmacie sono stati distrutti o saccheggiati durante gli attacchi».

domingo, 16 de março de 2014

Mais massacre de cristãos na Nigéria. 16.3.2014

Massacro in Nigeria, almeno 100 morti
Nei villaggi attacchi con fucili e machete

Nessuna rivendicazione per la tragedia nel distretto di Kaura nel Kaduna.
Le vittime freddate nel sonno dentro le loro case, alcuni sono stati bruciati vivi
AFP
Una sepoltura di massa in Nigeria (archivio)

Una carneficina, compiuta in piena notte da uomini con armi da fuoco, benzina e machete, che ha lasciato in terra i cadaveri, molti dei quali bruciati, mutilati o fatti a pezzi, di almeno 100 abitanti di tre villaggi del centro della Nigeria. È l’ultimo sanguinoso capitolo di un conflitto strisciante nello Stato a popolazione mista cristiana e musulmana di Kaduna, che intreccia rancori etnici, dissidi sulla terra e odio religioso e che dalle elezioni presidenziali nigeriane del 2011, che diedero la vittoria al cristiano Goodluck Jonathan, ha prodotto centinaia di morti. 

I villaggi sono quelli di Angwan Gata, Angwan Sankwai e Chenshyi, tutti a maggioranza cristiana e tutti nel distretto di Kaura, nel sud dello Stato. Durante la notte fra venerdì e sabato una quarantina di uomini armati è arrivata di soppiatto mentre gli abitanti stavano dormendo, sparando casa per casa, colpendo senza pietà con i machete, dando alle fiamme le capanne con intere famiglie intrappolate all’interno. «Gli assalitori hanno anche rubato cibo e mangime per gli animali e dato fuoco ai granai», ha spiegato il capo della polizia dello stato di Kaduna, Aminu Lawan. Lo scenario che si sono lasciati dietro è di tre villaggi interamente rasi al suolo con almeno 100 cadaveri, dicono i testimoni, diversi dei quali carbonizzati o mutilati, disseminati fra le rovine, 50 dei quali solo nel villaggio di Chenshyi. Alcuni abitanti sono riusciti a fuggire e a rifugiarsi nella boscaglia e a molte ore di distanza «sono terrorizzati e non vogliono a tornare a casa», dice Lawan. Si ha inoltre notizia di circa 2.000 persone scampate alla carneficina che sono riuscite a trovare rifugio in una scuola del vicino villaggio di Gwandong. 

Il capo della polizia non ha fornito un bilancio né ha attribuito la responsabilità della strage. Ma la popolazione locale, dedita all’agricoltura e a maggioranza cristiana, accusa i pastori di etnia Fulani o Haussa, considerati «non indigeni», musulmani che da sempre contendono la terra e i diritti di pascolo agli «stanziali» dei villaggi. Una antica rivalità economica, tribale e religiosa pluridecennale che è esplosa con particolare recrudescenza, con oltre 400 morti e migliaia di sfollati, dopo le elezioni presidenziali dell’aprile 2011, vinte da Jonathan, un cristiano del sud della Nigeria, sconfiggendo Muhammadu Buhari, un musulmano del nord. Una divisione religiosa che taglia il Paese in due, nella quale gli Stati contigui di Kaduna e di Plateau, detti Middle Belt (fascia centrale), nei quali le religioni sono quasi equivalenti (con una leggera prevalenza cristiana), sono una sorta di «cuscinetto». 

Ma nei due Stati centrali il conflitto etnico-religioso è forte e, in uno stillicidio di attacchi, pogrom, scontri, ha prodotto dal 1992 circa 10.000 morti, secondo quanto denuncia Human Rights Watch (Hrw). Un conflitto parallelo a quello condotto unilateralmente dai terroristi islamici di Boko Haram contro la minoranza cristiana e contro lo Stato nel nord a maggioranza musulmana della Nigeria. 

quinta-feira, 6 de março de 2014

Nigéria: A rotina de matar cristãos dos muçulmanos.

5/03/2014 Vatican Insider

Nigeria, nuovo attacco contro i cristiani: 9 morti

 
 
Nigeria. Ancora attacchi ai cristiani
(©ANSA) NIGERIA. ANCORA ATTACCHI AI CRISTIANI

Attaccati quatto villaggi nel centro del Paese. Lo riferiscono polizia ed esercito

REDAZIONEROMA


Nove persone sono state uccise da un commando di uomini armati che hanno attaccato quattro villaggi a maggioranza cristiana nello stato di Plateau, nel centro della Nigeria. Lo riferiscono polizia ed esercito, riprese dall'agenzia ANSA. Nel raid, avvenuto nel distretto di Riyom, decine di abitazioni sono state incendiate.


«Hanno ucciso 9 persone e appiccato il fuoco a 24 case», ha detto il portavoce dell'esercito, Salisu Mustapha. Secondo un parlamentare locale, Felicia Anslem, la maggior parte delle vittime sono donne e bambini.

Proprio in queste ore il Consiglio dei musulmani nigeriani ha dichiarato `guerra spirituale´ contro i membri del gruppo islamista Boko Haram condannando gli attacchi nel nord est del Paese della scorsa settimana in cui sono rimaste uccise oltre 100 persone.

«Questi omicidi di innocenti devono cessare» ha detto il capo Iman Sheik Danniyalu Shitta in una conferenza stampa a Kaduna. Il Consiglio è preoccupato dei recenti attacchi avvenuti negli stati di Borno, roccaforte dei ribelli, di Adamawa, Benue e Yobe e hanno lanciato una preghiera speciale, una Qunut, affinché vengano puniti i responsabili del crimine.

segunda-feira, 3 de março de 2014

O massacre de cristãos de hoje. Amanhã tem mais.É o dialogo funcionando...

03/2014 

Nigeria, più di 70 morti in attentati nel nord-est

 
 
Disastri provocati da esplosioni in Nigeria
(©AFP) DISASTRI PROVOCATI DA ESPLOSIONI IN NIGERIA

Attacchi a Mainok e Maiduguri, nel Borno, area in cui si concentra Boko Haram. Tra le vittime anche donne e bambini

REDAZIONEROMA

Si aggrava il bilancio degli attentati nel nord-est della Nigeria, l'area del Paese in cui si concentra la presenza di Boko Haram, gruppo fondamentalista islamico che in una lingua locale significa letteralmente «l'istruzione occidentale è peccato».

Un commando armato composto da dozzine di persone, spiegano alcuni testimoni, ha attaccato sabato sera gli abitanti del villaggio di Mainok, nello stato confederale di Borno, con l'uso di kashnikov e lanciagranate.

A Maiduguri, capoluogo di Borno, sempre sabato sera due esplosioni hanno provocato la morte di altre 35 persone. In questo caso, secondo quanto riportato da testimoni, tra le vittime ci sono anche donne e bambini, e il bilancio potrebbe essere anche più grave.

L'attacco di Mainok, che si trova a una cinquantina di chilometri da Maiduguri, è stato compiuto, proseguono le testimonianze dei sopravvissuti, da uomini che indossavano uniformi dell'esercito e delle forze dell'ordine locali.

Le vittime sono state sepolte già questa mattina, come del resto prevede la religione islamica.
Non è la prima volta che Mainok si trova sotto attacco: nel luglio scorso in un altro raid morirono infatti 25 residenti.
  
Dal 2009 a oggi, ovvero da quando in Nigeria si è affermata la minaccia di Boko Haram, sono migliaia le persone rimaste uccise a causa dei loro attentati e della reazione delle forze armate nigeriane.


Nella notte di domenica altri uomini armati sospettati di appartenere al gruppo islamico Boko Haram hanno ucciso 29 persone nel corso di un attacco nella località di Mafa, nel nord est della Nigeria. Lo ha annunciato, come riferisce l'Ansa, una fonte politica
  

I soldati dislocati nella zona per proteggere la popolazione «sono fuggiti perché erano inferiori, in termini di potenza di fuoco e di effettivi, agli uomini armati» ha dichiarato Ahmed Zanna, senatore dello Stato del Borno.


Le «29 persone assassinate sono state sepolte dopo l'attacco di Boko Haram», ha aggiunto la stessa fonte.

Rotina: Massacre de cristãos na Nigéria

Massacre em povoado cristão na Nigéria

  • Autoridades e moradores dizem que mais de cem pessoas foram mortas por homens armados que seriam ligados a grupo islâmico
O GLOBO
COM AGÊNCIAS INTERNACIONAIS
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Corpos de mortos em massacre da semana passada na vila de Konduga, também no Nordeste da Nigéria, são preparados para serem enterrados
Foto: AFP
Corpos de mortos em massacre da semana passada na vila de Konduga, também no Nordeste da Nigéria, são preparados para serem enterrados AFP
YOLA, Nigéria – Homens armados que fariam parte do grupo extremista islâmico Boko Haram teriam promovido um massacre em um povoado de maioria cristã no Nordeste da Nigéria no sábado. Segundo denúncia de autoridades e moradores da vila de Izghe feita neste domingo, 106 pessoas foram mortas no ataque.
- Até agora, segundo informações que recebi de Izghe, 106 pessoas, entre elas uma idosa, foram mortas pelos agressores, suspeitos de serem combatentes do Boko Haram - disse Ali Ndume, senador pelo estado de Borno, onde o povoado está localizado.
Membros do Boko Haram mataram, na semana passada, 43 pessoas em duas cidades de Borno, o que provocou a fuga de centenas de habitantes em direção a Maiduguri, a capital do estado. Borno é um dos três estados do Nordeste da Nigéria em estado de emergência desde que o Exército lançou uma operação contra os insurgentes islamitas do Boko Haram. A revolta islamita, iniciada em 2009, já deixou milhares de mortos.
Moradores que fugiram do ataque em Izghe disseram que algumas vítimas foram mortas a tiros, enquanto outras tiveram as gargantas cortadas.
- Todos os corpos das vítimas ainda estão estirados nas ruas – disse Abubakar Usman, um dos residentes do povoado, à agência de notícias Reuters. - Fugimos sem enterrá-los por medo de que os terroristas ainda estivessem escondidos na mata.
Outras testemunhas disseram que os atacantes chegaram ao povoado em caminhões e motos no início da noite de sábado. Eles pediram que os homens da vila se reunissem e então começaram a atirar.


Leia mais sobre esse assunto em http://oglobo.globo.com/mundo/massacre-em-povoado-cristao-na-nigeria-11622901#ixzz2uuefX2wL 
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