quinta-feira, 21 de abril de 2016

O Padre vítima do comunismo na Europa encontra o Papa: Ernest Simoni

Le lacrime e l’abbraccio al prete sopravvissuto al comunismo

Papa Francesco e don Ernst Simoni a Tirana
Francesco ascolta la sua testimonianza in silenzio, poi quando l’anziano sacerdote che ha trascorso 27 anni ai lavori forzati si inginocchia davanti a lui, lo risolleva, mette la fronte sulla sua e lo abbraccia a lungo, stringendolo a sé. Piange Papa Bergoglio, anche se non vuole darlo a vedere e prima di girarsi nuovamente verso i sacerdoti e le religiose che si stringono attorno a lui nella cattedrale di Tirana, si toglie gli occhiali asciugandosi gli occhi. È commosso per il racconto che ha appena ascoltato e per l’umiltà con cui quel vecchio prete, don Ernest Simoni, ha descritto la sua storia di vittima del comunismo. 

«Davvero sentire parlare un martire del proprio martirio è forte - dirà poco dopo il Papa ai giornalisti sul volo che da Tirana lo riporta a Roma - credo che eravamo tutti commossi per questi testimoni che parlavano con naturalezza e con un’umiltà, e sembravano quasi raccontare le storie della vita di un altro».

Padre Simoni venne arrestato dalla polizia comunista nel 1963, avrebbe riassaporato la libertà soltanto nel 1990, dopo una vita ai lavori forzati. «Mi dissero: tu sarai impiccato come nemico perché hai detto al popolo che moriremo tutti per Cristo se è necessario». Lo hanno torturato, accusato di aver detto una messa di suffragio per l’anima del presidente Kennedy morto un mese prima, che «io celebrai secondo le indicazioni date da Paolo VI a tutti i sacerdoti del mondo». Nella cella d’isolamento portarono un suo amico col compito di spiarlo, e siccome don Ernest continuava a dire che «Gesù ha insegnato ad amare i nemici e a perdonarli, e che noi dobbiamo impegnarci per il bene del popolo», la pena di morte gli fu commutata ai lavori forzati. «Durante il periodo di prigionia, ho celebrato la messa in latino a memoria, così come ho confessato e distribuito la comunione di nascosto». «Con la venuta della libertà religiosa - ha concluso il sacerdote - il Signore mi ha aiutato a servire tanti villaggi e a riconciliare molte persone in vendetta con la croce di Cristo, allontanando l’odio e il diavolo dai cuori degli uomini».

Francesco ascolta e come prima reazione ha quella di mettere da parte il discorso preparato. Vuole parlare a braccio, comunicare ciò che gli hanno suscitato le testimonianze umili e semplici del sacerdote e di una suora che ha raccontato di come battezzava in gran segreto anche i figli dei comunisti. 

«In questi due mesi, mi sono preparato per questa visita, leggendo la storia della persecuzione in Albania. E per me è stata una sorpresa: io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto! Poi, oggi, nella strada dall’aeroporto fino alla piazza, tutte queste fotografie dei martiri: eh, si vede che questo popolo ancora ha memoria dei suoi martiri, di quelli che hanno sofferto tanto! Un popolo di martiri… E oggi, all’inizio di questa celebrazione, ne ho toccati due. Quello che io posso dirvi è quello che loro hanno detto, con la loro vita, con le loro parole semplici».
Il Papa ha aggiunto: «Noi possiamo domandare a loro: “Ma come avete fatto a sopravvivere a tanta tribolazione?”. E ci diranno questo che abbiamo sentito in questo brano della seconda Lettera ai Corinzi: “Dio è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. È stato Lui a consolarci!”... Il Signore li consolava».

«Penso a Pietro - ha detto ancora Francesco - nel carcere, incatenato, con le catene: tutta la Chiesa pregava per lui. E il Signore consolò Pietro, e ai martiri e a questi due che abbiamo sentito oggi, il Signore li consolò perché c’era gente nella Chiesa, il popolo di Dio, le vecchiette sante e buone, tante suore di clausura che pregavano per loro. E questo è il mistero della Chiesa: quando la Chiesa chiede al Signore di consolare il suo popolo, e il Signore consola umilmente, anche nascostamente».
«Guai a noi», ha concluso, «se cerchiamo un’altra consolazione».

Il sacerdote albanese che ha trascorso 28 anni in prigione stamane all’udienza ha dato a Francesco una copia del libro che racconta la sua storia


È con un bacio sulle mani che Francesco ha accolto stamani don Ernest Simoni, il sacerdote albanese che ha passato ventotto anni in prigione: il Papa, commosso, lo aveva già abbracciato il 21 settembre 2014 a Tirana, dopo aver ascoltato la storia della sua persecuzione. «Per undicimila giorni don Ernest è stato sottoposto a torture e lavori forzati» racconta Mimmo Muolo, giornalista di «Avvenire» che ha scritto il libro Don Ernest Simoni. Dalla persecuzione all’incontro con Francesco. Ed è stato proprio il sacerdote a consegnarne stamani una copia nelle mani del Papa. Con lui anche suor Marisa, rappresentante delle edizioni Paoline che hanno pubblicato il volume. 

«La mia persecuzione — ha detto don Simoni — è iniziata nella notte di Natale del 1963 quando, per il semplice fatto di essere prete, sono stato arrestato e messo in cella di isolamento, torturato e condannato a morte». Al suo compagno di cella ordinarono di registrare «la prevedibile rabbia» del sacerdote contro il regime: ma don Ernest ebbe solo parole di perdono e di preghiera per i suoi aguzzini. E così la pena venne commutata in venticinque anni di lavori forzati, nelle miniere e nelle fogne di Scutari. «In prigionia — ha ricordato il sacerdote — ho celebrato la messa a memoria in latino e ho anche distribuito la comunione». 



Il 5 settembre 1990 è arrivata la libertà e don Ernest ha ricominciato la sua attività pastorale che, confida, in realtà non aveva mai interrotto, «ma solo vissuto in un contesto speciale». E il suo primo atto è stato quello di confermare il perdono ai suoi aguzzini: «Per loro — precisa — invoco costantemente la misericordia del Padre». Alla inevitabile domanda su come abbia potuto resistere a una tale persecuzione senza piegarsi, don Ernest risponde con un sorriso prima di rivelare il suo segreto: «Ma io non ho fatto nulla di straordinario, ho sempre pregato Gesù, ho sempre parlato di Gesù».